ROMA
Alla vigilia di un viaggio a Reggio Calabria deciso dopo i fatti di Rosarno, Giorgio Napolitano definisce la ’ndrangheta «forse l’organizzazione criminale più insidiosa», sottolinea l’importanza del lavoro della magistratura e chiede la piena applicazione della legge per il sequestro dei beni dei mafiosi. Così, spiega, sarà possibile con un lavoro «indispensabile» raggiungere in Calabria i risultati «ottenuti in Sicilia». Quella contro la mafia è «una battaglia non ancora del tutto vinta» che va combattuta con «ogni possibile sostegno» per chi si trova in prima linea.
«C’è l’esigenza di applicare pienamente quella grande conquista che fu la Legge Rognoni-La Torre per la confisca dei beni mafiosi, uno strumento essenziale di lotta che ha avuto successo», ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano incontrando al Quirinale i dirigenti della Fondazione Paolo Borsellino. Napolitano ha annunciato che giovedì prossimo sarà a Reggio Calabria per partecipare a una assemblea di studenti promossa dal ministro della Pubblica Istruzione Maria Stella Gelmini. «So che in Calabria- ha aggiunto - c’è un problema irrisolto di gestione dei beni confiscati alla mafia. Il rischio che i beni confiscati possano essere lasciati degradare colpisce molto. Significherebbe negare la battaglia che si è fatta. Bisogna trovare una soluzione».
Non trattiene la commozione, il presidente della Repubblica, ricevendo i familiari di Paolo Borsellino e degli uomini della scorta uccisi insieme a lui. «L’impegno che state portando avanti è importantissimo», dice ricordando «i tanti nomi di magistrati, uomini politici, agenti di polizia e carabinieri che hanno perduto la loro vita vittime della mafia». Il nodo alla gola sale, nonostante «siano passati molti anni». Il bilancio della lotta alle cosche siciliane non è certo del tutto negativo. Al contrario: «dobbiamo essere consapevoli che abbiamo compiuto davvero un percorso significativo e raggiunto risultati consistenti». Basta «ricordare come 15, venti anni fa fosse così presente la sordità e riluttanza» di tanta parte della società civile, «anche delle organizzazioni imprenditoriali» e confrontare «quello che le stesse organizzazioni fanno oggi». Insomma, «siamo riusciti a far progredire la consapevolezza della insopportabilità del fenomeno mafioso» in un processo che parte dalla società civile e trova «il momento culminante nell’attività delle forze dell’ordine e della magistratura».
Le indagini sulla morte di Paolo Borsellino stanno andando avanti, facendo emergere un «intreccio complesso». «Comprendo lo scrupolo e l’attenzione da parte della magistratura, che vuole tutelare nell’interesse generale la propria indipendenza e autonomia, per fare piena luce su vicende così terribili».
Fonte: Lastampa.it
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